Spesso le persone quando scoprono che faccio questo tipo di volontariato mi guardano con occhi nuovi e mi chiedono come faccia e, stupiti e quasi ossequiosi, si complimentano per il mio coraggio.
Questo mi imbarazza e mi lascia sempre senza parole, perché non so cosa rispondere e non mi va di negare il coraggio, anche se non è di coraggio che si tratta.
La verità è che lo faccio per me, che questo volontariato mi dà tanto. Non sono che una pedina di un ingranaggio molto più sofisticato, che dà il suo contributo e ne riceve in cambio senso. Attraverso di me il servizio raggiunge altri, attraverso gli altri, il servizio raggiunge me.
Per me il volontariato in Cure Palliative è un’occasione di gentilezza. È un’occasione per offrire un sorriso, una carezza, una mano con gentilezza e gratuità, all’ombra di un luogo dove chi riceve non avrà il tempo di ricambiare… E quindi ogni mio gesto è puro e slegato dal bisogno di reciprocità!
Eppure sempre, in modi insperati, insospettabili e mai ovvi, ho ricevuto qualcosa dalle persone a cui mi sono seduta accanto. Un sorriso, una confidenza, una ricetta, una fotografia condivisa, un quadro sul muro, un contatto autentico e ravvicinato, la grazia del silenzio, la prova del coraggio.
Questo volontariato è per me, soprattutto, un’opportunità per vivere nell’essenziale. Per sentire l’umanità dell’altro incontrare la mia. Senza fronzoli, convenevoli e con la consapevolezza del tempo che scorre… I malati e i loro cari entrano in contatto con noi volontari sapendo che non c’è spazio per le futilità. Si va al sodo, all’essenziale, alla bellezza del contatto tra esseri umani e ci si dà e si riceve l’altro con una gioia autentica e contenuta, una presenza solida e generosa.
Laddove la disponibilità è autentica, c’è lo spazio per l’incontro nella verità.
Quanti abbracci e carezze con sconosciuti dal valore impagabile!
Questo volontariato è imparare a “stare” senza “fare”. Anche in silenzio se necessario. Quanto passa in quei momenti! Quanta bellezza nell’inazione! Stare accanto a qualcuno senza la spinta a riempire silenzi e vuoti. Con lo sguardo o anche semplicemente in presenza di una persona che ha già chiuso gli occhi e respira faticosamente. Sapendo che “stare” ha un valore. Anche solo il valore dell’essere testimoni e non lasciare soli.
Ma, soprattutto, grazie a questo volontariato ho trovato un senso. Tanto significato per la mia vita, in cui la morte è ora meno nemica e più conosciuta, e per i grandi temi con cui tutti ci confrontiamo e che per me cominciano a trovare un posto chiaro».
Lucy, volontaria FILE